Trasfusioni infette e risarcimento del danno, ce ne siamo occupati molte volte sul blog di Studio Nova Infortunistica, incluso un caso gestito direttamente dal nostro staff che ha consentito il riconoscimento di una liquidazione di ben 1.200,000,00 Euro, grazie ad un’azione giudiziale contro il ministero della salute. Il caso era quello di una trasfusione di sangue infetto che causò epatite B al paziente, malattia che lo portò alla morte, dopo anni di sofferenze e cure dolorose. Oltre ad aver definito alcuni parametri, tra cui la possibilità che il giusto risarcimento sia destinato agli eredi, abbiamo contestualizzato eventi di questo tipo sul territorio toscano. Il caso che prendiamo in esame con questo articolo è invece relativo alla regione Emilia e riguarda la recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione ( sentenza n. 26115/18.10.2018 ) dove si stabiliscono alcuni parametri importanti relativi al risarcimento del danno per una patologia contratta a causa di una trasfusione infetta.

Risarcimento del danno per contagio da trasfusione, cinque anni di tempo

Un soggetto che abbia contratto una patologia a causa di una trasfusione di sangue, può chiedere il risarcimento del danno all’azienda sanitaria, a patto che la richiesta avvenga entro i cinque anni dal riconoscimento del nesso tra patologia contratta ed emotrasfusione infetta.
Il caso in esame riguarda una trasfusione avvenuta post partum in seguito all’emorragia di una giovane paziente. In quel momento la donna contrae l’epatite C. e nel 2005 cita in giudizio il Ministero della Salute chiedendo il giusto risarcimento. Inizialmente, nel 2008, la domanda viene rifiutata con la giustificazione che era giunta in ritardo rispetto ai fatti, decretandone quindi la prescrizione. Impugnata la sentenza la donna affronta senza successo il secondo grado, mentre il ricorso in cassazione apre nuovi scenari e decreta il successo della richiesta di risarcimento.
Si è infatti reso evidente che il cosiddetto termine di prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal momento in cui la percezione del soggetto sulla propria malattia diventa chiara. Il paziente potrebbe non aver avuto la possibilità di collegare la patologia alla trasfusione, per un’insufficienza di mezzi informativi adeguati, responsabilità dell’azienda sanitaria di riferimento. Il termine quindi di cinque anni per la prescrizione della richiesta di risarcimento decorre da quando il soggetto assume piena consapevolezza del nesso tra patologia e trasfusione effettuata. La presentazione del ricorso è il documento che attesta questa consapevolezza ed è a partire da quello che si può calcolare la prescrizione, stabilita in cinque anni dalla Cassazione.